Dalla
tesi di laurea in storia del teatro e dello spettacolo di Luigi Iacuzio
Relatore Prof.ssa Valentina Valentini.
Corso di laurea in DAMS. Anno Accademico 2003/2004
Università degli Studi della Calabria.
Indice
Introduzione
Teresina (analisi del testo)
L’altro (analisi del testo) L’altro
(la messa in scena)
Intervista ad Aldo Nicolaj
La
messa in scena
"L'ALTRO" è stato messo in scena, in Italia, due volte.
La prima volta risale al 23 marzo 1990 al teatro Ghigne di Roma, per
la regia di Walter Manfrè, con Patrick Rossi Gastaldi nel ruolo
del fratello malato e Warner Bentivegna nel ruolo del fratello sano.
Una seconda messa in scena risale a cinque anni fa e più precisamente
al 14 aprile 2000 presso il teatro dell’Acquario di Cosenza, per
la regia di Massimo Costabile, con Stefano Costabile nel ruolo del fratello
malato, nonché autore delle scenografie, e Luigi Iacuzio nel
ruolo del fratello sano.
Quest’ultima è la rappresentazione che prendo in considerazione
per la sua analisi.
Note di regia, prove.
Il lavoro del regista in questa messa in scena tende a rappresentare
l’anima del testo, ossia il fulcro delle emozioni e dei significati
che lo stesso suggerisce. Partendo dal lavoro di prove, possiamo
capire come il testo di Nicolaj venga usato come canovaccio, come sunto.
Partendo dal cuore del testo il regista ha richiesto agli attori di
affidarsi alla propria personale gestione del corpo rispetto alle sensazioni
del testo.
Questo concetto è espresso dallo stesso regista in una sua dichiarazione:
“La richiesta iniziale fatta agli attori è stata quella
di affidarsi alle loro capacità di gestire il proprio corpo e
di esprimere/manifestare/presentare, più che rappresentare, qualcosa
che viene dal profondo: emozioni, poesia”.
Quindi il lavoro sugli attori parte dal provare a manifestare l’emozione
suscitata dal testo, usando quest’ultimo come pretesto, secondo
la propria personale gestualità.
Gli attori non sanno quale personaggio dovranno interpretare durante
questa fase. Questo verrà deciso, una volta terminato il lavoro
di improvvisazione, dal regista, in base agli elementi forniti dagli
attori attraverso il rapporto che si verrà a creare fra loro
nell’esecuzione di azioni/situazioni, con i loro differenti ritmi
gestuali e fonici, rendendo più chiari i personaggi.
Riportiamo qui un esempio di lavoro durante le prove de L’altro:
Azione
del ballo (nel testo non esiste)
Dall’immobilità(solitudine)
al movimento (cambio di umore) Allegro (vortice) -
altro cambio di umore (inquietudine)
Pausa
Contatto - Scontro
Pausa piena di tensione
Esplosione
Risata liberatoria/ Ballo grottesco
Il
momento del ballo, che nel testo non esiste, si è venuto a creare,
proprio in seguito al lavoro di improvvisazione e, nella messa in scena,
è stato posto subito dopo l’azione dello scambio delle
giacche e rappresenta uno dei momenti di gioco e di riconciliazione
presenti in tutto il testo.
Dopo questo lavoro iniziale, una volta determinati i caratteri e i personaggi,
si è passato al lavoro più classico di prove, affiancando
il sonoro delle battute al personaggio creato, seguendo più o
meno la cronologia del testo.
Il regista ha voluto incentrare il lavoro sulle emozioni che scaturiscono
dal testo, sulla comunicazione tra due mondi lontani, sui contrasti
di due consanguinei, sui loro sentimenti, trasferendoli nei corpi dei
due attori.
Tutto si apre, si svolge e si chiude nel sunto di queste emozioni come
vediamo dalle note di regia.
Note di regia
Due fratelli, uno normale, l’altro malato. Tra i due non è
semplice comunicare.
E’ difficile capire fin dove il malato possa capire il mondo del
sano, ma altrettanto difficile per il sano entrare nel mondo del malato.
Il tutto si svolge all'interno di una casa che da un momento all’altro
potrebbe essere abbandonata, in una dimensione che rasenta la claustrofobia.
La descrizione del complicato rapporto fra i due fratelli, la storia
di un’esperienza estrema, l’incontro di due linguaggi: quello
articolato e metodico della “normalità” e quello
sfuggente della “malattia”. Nello stesso tempo la storia
di due solitudini che cercano di incontrarsi, una storia d'amore, pur
sui generis.
Amore e aggressività, attrazione e repulsione, pietà e
stanchezza, dolori e gioie legano i due protagonisti e la loro esistenza
quotidiana.
Il gioco diventa per loro la cosa più importante, ne hanno bisogno
per comunicare ed è proprio la necessità di comunicare
che li spinge, attraverso il gioco, ad inventare nuove storie ed a intraprendere
i “piccoli e grandi viaggi”.
A noi il piacere di spiare in questo piccolo microcosmo:
lasciarci trasportare dai misteriosi silenzi e dai sussurri che vivono
in quella stanza e trasformarli in situazioni drammaticamente intense,
che conferiscono al non detto una spessa profondità.
Una continua ricerca dell’altro.
Didascalie
Come
evidenziato, Nicolaj è un autore che traccia un percorso definito
del testo, delineando attraverso le didascalie, i caratteri dei personaggi
e dell’opera.
Sembra quindi difficile per un regista discostarsi dalle linee tracciate
dall’autore.
Possiamo notare come nella messa in scena che abbiamo analizzato alcune
didascalie vengono prese in considerazione, altre vengono modificate,
amplificate o esasperate mentre altre vengono ignorate completamente.
Un esempio di didascalie modificate lo troviamo già all’inizio
della messa in scena. Infatti il prologo iniziale, che riguarda la descrizione
dell’ambiente e la presentazione dei personaggi, cambia nella
realizzazione scenica rispetto al testo. Mentre la didascalia suggerisce
una scena immersa nel buio che si illumina con un raggio di luce proveniente
da una finestra, scoprendo la stanza e i personaggi (il fratello malato
intento a fare misteriosi giochi con le dita e il fratello sano che
dorme); nella messa in scena non troviamo la finestra e la luce proviene
dall’alto e illumina solo una porzione di scena e precisamente
un angolo di una scrivania, bagnando dei fogli scritti. Il tutto è
accompagnato da una voce fuori campo del fratello sano che recita un
monologo non presente nel testo, che il regista estrapola dal romanzo.
Quando termina la voce fuori campo la scena viene scoperta insieme ai
personaggi che ritroviamo come da didascalia, con l’eccezione
del fratello malato, il quale è posizionato in cima a una scala.
Quindi il regista manifesta già dall’inizio la sua volontà
di modificare alcune indicazioni dell’autore.In questo caso il
regista sembra voler identificare subito i due diversi mondi collocando
il malato in cima a una scala e il sano nel suo letto. Questo processo
avviene anche successivamente, anche perché alcune scene sono
modificate e di conseguenza lo sono anche le didascalie. Il regista
ha espressamente voluto modificare e spostare la cronologia di alcune
scene e aggiungere battute estrapolate dal testo. Questo fa parte del
pensiero di fare proprio il testo, di impadronirsene senza per questo
tradirlo. Il regista di questa messa in scena ha dichiarato: “Spostare
delle frasi o delle scene, fa parte di un lavoro di montaggio che non
può essere che personale e che riguarda la funzionalità
della messa in scena”.
La funzionalità, ad esempio, del monologo iniziale, di cui precedentemente
accennato, è quella di soddisfare una personale esigenza poetica
del regista, come appare da una sua dichiarazione: “Vorrei riportare
il monologo iniziale, registrato, che ho estrapolato dal romanzo, questo
per far presente una caratteristica dei miei spettacoli. La mia poesia,
le mie visioni sono spesso racchiuse in una scena di pochi minuti che
apre e chiude lo spettacolo. È qualcosa che elaboro dalla poetica
del testo. Quei pochi minuti sintetizzano tutto e in questo monologo
c’è tutto lo spettacolo, tutta la storia”:
"Vivo, ormai da anni con mio fratello malato. Percepiamo, a
distanza, un debole impasto sonoro, voci sfocate. Più che turbare
i nostri silenzi, giocano a renderli più compatti, insinuandovi
dentro confuse vibrazioni vitali, 1embi di esistenza che rimangono,
però, senza storia. Non succede nulla che rassomigli a un moto
verso l'esterno. Ma intanto continuiamo a vivere qui, consumando giorno
per giorno, da soli, abitudini che non sembrano sottostare ad alcuna
scadenza."
Descriviamo
ora alcune scene che sono state cambiate o spostate nella messa in scena,
rispetto al testo.
Il quinto quadro, nel testo, è la scena del cibo. In questa scena
i due fratelli sono seduti a un tavolo preparato con grandi vassoi pieni
di cibo. Il fratello sano cerca di far mangiare il malato che invece
mette il cibo in tasca, mischia le pietanze, passa il cibo dalla sua
bocca a quella del fratello, lo accarezza con le mani sporche, infine
fa cadere una mela nel piatto della minestra che schizza in faccia al
sano.
Nella messa in scena il regista sintetizza tutto, prendendo solo la
mela come cibo. I due fratelli non sono seduti a tavola. Le azioni rimangono
uguali, ma quella finale (la mela che il malato lascia cadere nella
minestra, schizzando il fratello sano) viene esasperata. Infatti il
fratello malato mangia avidamente tutta la mela che poi sputerà
in faccia al fratello sano.
Una scena che invece è stata completamente rimossa sulla scena
è quella del w.c. (settimo quadro).
Questa scena nel testo è molto chiara e per una prima parte è
fatta solo di gesti che il fratello malato compie davanti alla tazza
del bagno, per una seconda anche dal parlato.
Nella messa in scena, gli attori recitano completamente al buio, partendo
dall’urlo del fratello malato dopo che il sano ha premuto lo scarico
del w.c.
Ci sembra quindi che il regista tenda all’essenziale nella messa
in scena del testo.
Nella prima scena analizzata, invece di imbandire una tavola con vassoi
e vivande, egli lavora solo con una mela, con azioni semplici ma nello
stesso tempo fortemente drammatiche, nell’intento di creare un
effetto più diretto ed efficace.
Nella seconda scena invece, toglie alla visione tutta la gestualità
e l’azione, lasciando semplicemente un urlo disperato e le parole
che seguono per esprimere tutto il malessere del personaggio.
Quindi una messa in scena caratterizzata dall’essenzialità
e da scelte poetiche personali del regista, espresse anche dai monologhi
registrati a inizio e fine spettacolo, contenitori, appunto della poetica
del testo.
Notiamo inoltre come nella messa in scena il regista evidenzi in maniera
assoluta l’io epico, presente tanto nel romanzo quanto nel testo,
amplificandolo fonicamente e visivamente.
Infatti, la maggior parte dei monologhi del fratello sano che esprimono
l’io narrante, sono espressi dalla voce registrata dell’attore,
il quale rimane in scena in un fermo immagine, come ad esempio nella
scena della valigia .
Questo sembra anche un modo per accentuare i momenti di solitudine/riflessione
del fratello sano, creando quasi un distacco dalla situazione reale.
Codici
prossemici
Importanti
sono i rapporti che gli attori/personaggi hanno con lo spazio scenico
e fra loro stessi. Andiamo quindi ad analizzare le relazioni prossemiche
più significative della messa in scena. Innanzitutto vediamo
che a inizio spettacolo c’è già una distinzione
fra lo spazio del fratello sano e quello del malato.
Il malato appare per la prima volta in cima a una scala e il fratello
sano disteso nel suo letto. Quindi un alto/verticale (fratello
malato) e un basso orizzontale (fratello sano).
Lo spazio in cui interagisce solo il fratello malato è l’ignoto,
ciò che si trova oltre la scala (non visibile) e ciò che
si trova oltre le tende, sul fondo, nell’ombra: è il suo
mondo, nel quale cerca protezione, la sua tana.
Il resto della scena diventa lo spazio in cui agisce il fratello sano
e nel quale i due personaggi interagiscono durante i giochi.
Le relazioni fra i personaggi sono di avvicinamento/repulsione, di contrasto/scontro/riconciliazione.
Spesso i corpi sono molto vicini, si abbracciano, e i fratelli si guardano
negli occhi, lottano, si accarezzano.
Queste relazioni indicano la loro profonda intimità e si contrappongono
ai momenti di allontanamento, quando i due personaggi si distanziano
fortemente (ad esempio quando il malato rimane nascosto nel suo spazio
e il sano si isola nei suoi pensieri).
Comunque possiamo dividere in tre lo spazio scenico agito dai personaggi.
Lo spazio centrale è quello utilizzato dai personaggi durante
i loro giochi, è lo spazio maggiormente agito, nei tentativi
di comunicazione.
Lo spazio, in fondo, è il luogo immaginario, che viene agito
solo ed esclusivamente dal fratello malato. Non vedremo mai il fratello
sano agire in quella porzione di scena.
La parte laterale della scena, occupata da un letto da un lato e da
una scrivania dall’altro, è agito il più delle volte
dal fratello sano per isolarsi nei suoi pensieri o nei suoi ricordi.
Ci sono però delle eccezioni, in quanto il letto è il
luogo dove avviene la vestizione iniziale, dove si svolgono i passaggi
di alcuni giochi e dove il fratello sano fa distendere quello malato.
Ma è sempre il sano che porta il malato in quello spazio. Il
malato non ci va mai di sua iniziativa.
Lo spazio in cui è situata la scrivania invece, tranne che per
un breve passaggio del gioco di Icaro, non è mai agita dal fratello
malato e rimane un luogo di esclusivo possesso del fratello sano. È
il suo mondo, il mondo della scrittura, attraverso il quale si allontana
dalla realtà.
Questa distinzione di mondi è definita anche dal rapporto che
i personaggi hanno con determinati oggetti.
Nel testo, la scala per il malato e le monete per il sano rappresentano
la via di fuga. Una fuga nel proprio mondo.
Nella messa in scena i personaggi, per richiudersi nel proprio mondo,
interagiscono anche con un tendaggio (fratello malato), che fa parte
della scenografia, e con penna e fogli (fratello sano).
Il tendaggio è usato dal fratello malato per rifugiarsi, o arrotolandosi
fra i drappi o restando nell’ombra del fondo; è comunque
una porzione del suo mondo più visibile rispetto alla cima della
scala.
Invece il fratello sano scrive su fogli bianchi, seduto alla sua scrivania,
i suoi pensieri, le sue speranze, si allontana dal mondo reale. Ha un
rapporto possessivo con questi oggetti, che rappresentano l’unica
sua via di fuga e di riparo. Per evidenziare questa ossessività,
il regista ha aggiunto una scena in cui il fratello malato cerca di
sbirciare nei fogli del fratello mandandolo su tutte le furie.
La reazione del fratello sano (rincorre il malato che ha preso i suoi
fogli, finché non riesce a riprenderseli e lo sgrida con forza)
sembra essere il preludio alla scena finale nella quale avvengono le
stesse azioni, ma più esasperate, a causa delle monete (altro
oggetto verso il quale il fratello sano ha un atteggiamento possessivo).
Attraverso il rapporto che i personaggi hanno con questi oggetti, scopriamo
la loro personalità, mentre ci sono altri oggetti che vengono
usati come simboli o come raffigurazione di un luogo.
Così il lenzuolo del letto diventerà ora un mantello nel
gioco dell’inquisitore, ora un bambino nel gioco dell’amore,
la spalliera del letto diventerà come le sbarre di una prigione,
la scrivania una roccia da cui spiccare il volo nel gioco di Icaro.
Altri oggetti e il rapporto con essi, nel testo e ancor di più
nella messa in scena, assumono una valenza significativa.
La valigia ad esempio. È l’oggetto della discordia. Nel
testo il fratello sano ha un rapporto con questo oggetto all’inizio
(la riempie di vestiti e la richiude. È pronta per la partenza),
mentre nella messa in scena la valigia viene riempita dopo la vestizione
e viene lasciata, pronta, al centro della scena. Successivamente il
fratello sano entra nuovamente in contatto con la valigia, la abbraccia
durante la voce registrata che recita: “Partire, piantare tutto
[…]”, la ripone con cura sotto il letto e dalla valigia
prende la mela che servirà poi per la scena del cibo.
Dal canto suo il fratello malato, se nel testo prende a calci con violenza
la valigia, nella messa in scena la calpesta, la sbatte per terra, la
apre e la svuota e ogni qualvolta vede il fratello sano avvicinarsi
a quest’oggetto ha un moto di irrequietezza.
Quindi, nella messa in scena viene esasperato il fattore divisione/unione
che traspare dal rapporto che i due personaggi hanno con la valigia.
Una contraddizione sembra esserci, sia nel testo che nella messa in
scena, nel rifiuto del fratello malato di alcuni gesti di avvicinamento
del sano.
Infatti,
se l’intera storia si basa sulla continua ricerca dell’altro,
spesso ci troviamo di fronte a un rifiuto, da parte del fratello malato,
dell’approccio fisico che il sano tenta di ottenere con gesti
di tenerezza, come le carezze.
Questo ci lascia un po’ perplessi anche se crediamo sia un elemento
di esasperazione del rapporto che contribuisce a sottolineare la complessità
dello stesso.
Nella messa in scena il regista esaspera i rapporti tra i due personaggi
con azioni anche violente e forti, cosa che nel testo non accade quasi
mai se non alla fine.
Le azioni sono quelle relative ai contrasti, ma anche quelle relative
al gioco o consequenziali allo stesso.
Esemplare è la scena (aggiunta) del gioco della principessa,
nel quale il fratello malato costringe il sano, più volte, a
correre per inseguirlo e per prenderlo. Il fratello sano acconsente
per tre volte fino a quando, esausto, smette improvvisamente di correre
e grida al fratello di smetterla. Dopo una lunga pausa il malato lancia
un urlo disperato e morde la mano del fratello sano che tentava di soffocare
il suo grido. Dopo il morso nasce una colluttazione. Il fratello sano
lo colpisce, lo butta per terra, lo immobilizza e stringe il pugno per
colpirlo, ma si ferma trattenendo la rabbia.
È
una scena che trasmette tensione, in cui le azioni concitate si alternano
agli stop improvvisi dei corpi e alle lunghe pause riempite dai fiati
dei due attori.
I gesti violenti della colluttazione evidenziano materialmente l’esasperazione
e i contrasti interni del rapporto e caricano di tensione anche le scene
successive.
Una scelta, questa di alternare momenti estremamente concitati a momenti
di calma e di utilizzare lunghe pause cariche di tensione, che ci sembra
indovinata.
Lo spettacolo si regge su sottili equilibri, fra dialoghi e silenzi;
la tensione regna sulla scena ed è trasmessa costantemente allo
spettatore che rimane in uno stato di agitazione interiore fino
alla fine.
L’uso della voce da parte degli attori varia a seconda delle situazioni
in cui si ritrovano. Il sano usa toni e timbri caldi nei momenti di
solitudine, nei suoi monologhi; una voce di testa e quindi fatta di
toni alti nei momenti di gioco, una voce rauca e tesa nei momenti di
contrasto con il fratello e una voce rotta dall’emozione nel finale
(momento di disperazione).
Il fratello malato varia i suoi toni in maniera più netta passando
da quelli sommessi e sussurrati ad altri altissimi e urlati.
La variazione dei toni, della voce e dei timbri è proporzionale
non solo ai caratteri dei personaggi, ma anche all’andatura dei
ritmi alternati di cui parlavo prima.
Nel testo di Nicolaj non è specificato come siano vestiti i personaggi.
Sappiamo che il fratello malato, a inizio scena, indossa una specie
di pigiama mentre il fratello sano è nel letto.
Nella messa in scena, invece, il fratello malato indossa una camicia
e un paio di mutande, mentre il sano, quando si alza dal letto, è
in maglietta e in mutande.
Successivamente i due attori indossano entrambi un vestito di colore
bleu (giacca, camicia e pantalone) e delle scarpe nere.
I due fratelli sono dunque vestiti allo stesso modo, come se si guardassero
allo specchio vedendo però un’altra immagine che non riconoscono
e che cercano di comprendere.
Questi rimangono gli unici costumi di scena per l’intero spettacolo
e gli attori non hanno trucco in viso, perché i personaggi non
lo richiedono.
Scenografia
La
scenografia di questa messa in scena in realtà è molto
essenziale e non segue del tutto i suggerimenti che Nicolaj offre nel
prologo del testo.
Nel complesso viene raffigurato, sulla scena, il luogo in cui si svolgono
tutte le azioni dei personaggi e cioè la stanza di un appartamento.
Nel testo questo ambiente è diviso da un paravento, mentre nella
messa in scena non c’è una divisione visibile degli ambienti.
Troviamo una divisione in due territori suggerita da elementi scenici
che però non tagliano in due la scena.
Lo scenografo, concorde con il regista, ha voluto rappresentare i mondi
dei due personaggi, uno reale e uno immaginario, aggiungendo però
l’elemento del non-visibile.
Il mondo reale è composto dal visibile e cioè dagli elementi,
molto essenziali, che compongono la stanza.
Quindi troveremo, ai lati della scena, un letto e una scrivania con
una sedia, il centro è vuoto e alle estremità laterali,
a ridosso delle quinte, vi sono oggetti di arredamento accatastati e
ricoperti da lenzuoli bianchi.
Questo è il territorio dei due personaggi dove si incontrano,
si nascondono, si perdono, stanno insieme, si ignorano e dove soprattutto
inventano fantastici giochi e incantevoli viaggi.
È il luogo in cui sono costretti a regolare e a vivere i propri
rapporti, di qualunque tipo essi siano. Si avvicinano e si allontanano,
si incontrano e si scontrano.
Allo stesso tempo è, principalmente, lo spazio del fratello sano.
Infatti il letto e lo scrittoio sono di suo esclusivo possesso, anche
se sono invasi dal fratello malato quando vuole provocare un contatto
o quando vuole giocare o vivere insieme al fratello i piccoli e grandi
viaggi.
Lo spazio lasciato vuoto al centro della scena è funzionale all’azione
dei due attori, è il luogo più agito in assoluto.
I vari mobili accatastati e ricoperti da lenzuola bianche, situati ai
lati della scena, suggeriscono quella sensazione di precarietà
che caratterizza l’intero rapporto dei personaggi.
Sul fondo della scena troviamo gli elementi di confine fra il mondo
reale e quello immaginario: una scala, in verticale, e un’ampia
tenda con delle fessure.
Sopra e dietro questi elementi c’è il mondo immaginario
del fratello malato, agito solo ed esclusivamente da lui.
Sono spazi non visibili (non si sa dove porta la scala e cosa c’è
al di sopra di essa) o soltanto percettibili (attraverso le fessure
della tenda lo spettatore può intravedere delle ombre, nient’altro),
una specie di tana.
Nel romanzo sono presenti anche degli ambienti esterni: giardini nei
quali i personaggi passeggiano.
Questi, nel testo di Nicolaj, sono intuibili scenograficamente grazie
alla presenza di una finestra.
Nella messa in scena scompaiono del tutto.
Luci
A
contribuire a rendere l’atmosfera claustrofobica del testo è
anche la scelta delle luci, molto essenziali e per la maggior parte
del tempo attenuate.
A inizio spettacolo c’è il buio totale (come da didascalia),
sulla voce registrata del fratello sano si illuminano soltanto alcuni
fogli scritti, poggiati su un angolo dello scrittoio; quando termina
la voce fuori campo una luce tenue illumina il fratello malato in cima
alla sua scala; con il suo movimento altre luci tenui scoprono la stanza
e il letto in cui dorme il fratello sano.
Quando il fratello sano si alza per vestirsi un piazzato più
forte illumina tutta la scena a eccezione del fondo (mondo immaginario),
che rimane in penombra.
Le luci iniziali sono utilizzate per presentare man mano i protagonisti,
gli oggetti e gli elementi fondamentali dello spettacolo. Una sorta
di titoli di testa, se parliamo con il linguaggio cinematografico.
Il piazzato che bagna l’intera scena viene utilizzato sempre quando
i personaggi si muovono nello spazio reale, nel quale si svolgono la
maggior parte delle azioni drammatiche. Non ci sono cambi di luce e
non ci sono gelatine che colorano determinati momenti; è una
luce neutra che non commenta.
Nei momenti di solitudine del fratello sano, alcuni cambi luce rendono
l’atmosfera più intima.
Questi cambiamenti avvengono anche nei momenti più intimi vissuti
dai due fratelli o in quelli più poetici, e si manifestano, ad
esempio, con coni di luce che bagnano il centro del palcoscenico, come
nella scena della valigia, o il letto, o lo scrittoio , oppure con luci
di taglio che bagnano semplicemente gli attori lasciando al buio il
resto della scena.
È un modo per mettere in primo piano il carattere dei singoli
personaggi nei loro momenti intimi.
Viene usato un effetto buio/luce alla fine del sesto quadro, come momento
di passaggio verso il finale; questa è una scelta dovuta anche
al fatto che la scena del w.c. si svolge al buio con le sole voci degli
attori che recitano le battute.
Nicolaj non dà alcuna indicazione sulle luci se non all’inizio
e alla fine del testo, e se, nella messa in scena, l’uso delle
luci per il quadro iniziale si avvicina molto alle indicazioni, nel
finale la scelta risulta essere quasi opposta.
Nel testo, Nicolaj suggerisce, per il finale, un buio e poi una luce
violenta che illumina gli spettatori per qualche secondo.
Nella messa in scena, dopo l’ultima battuta (Nel nulla la vita)
c’è, come all’inizio, la voce registrata del fratello
sano che conclude lo spettacolo e le luci sfumano fino ad arrivare al
buio totale sulla battuta conclusiva.
Un uso meno violento rispetto a quello proposto dal testo, più
pudico, che risulta essere in linea con la regia.
Registro
sonoro
Molto
presenti sono le musiche in questa messa in scena, scelte dal regista
durante la lavorazione sul testo.
Sono usate soprattutto per sottolineare i momenti più evocativi
o poetici del testo, quindi spesso durante i monologhi del fratello
sano, compreso quello finale.
Il registro sonoro fa da sottofondo alle voci registrate del fratello
sano e accompagna il monologo simbolico del fratello malato subito dopo
il gioco dell’amore (fine del quarto quadro).
Per sottolineare il ballo che i due personaggi improvvisano quasi a
inizio spettacolo, il regista usa un tango.
Le musiche sono di Jan Garbarek e David Darling .