Regie Massimo Costabile

L'ULTIMA CHANCE

di Massimo Costabile e Antonello Antonante

Non amo il teatro di ricerca, anche se sono un sincero estimatore di Giancarlo Sepe. Memè Perlini non mi ha mai convinto. Mi piace la Kusterman. E ho subito l'accattivante fascino della Gaia Scienza.
Insomma, per fugare ogni equivoco, voto Ronconi.
Ma allora, si dirà, che c'entri tu con l'Ultima chance? Proprio per essere uno che è fuori dai viscerali amori incondizionati o da pregiudizievoli ostracismi verso il teatro d'avanguardia, posso parlarne liberamente, sinceramente, senza paura di ritorsioni o facili entusiasmi. Non sono un critico di teatro, nè destinato ad esserlo;sono uno del seguito, "pieno di solenni sentenze, ma un pò ottuso",come recita il grande Eliot.
Tenterò soltanto di percorrere un sogno, la mia visione dello spettacolo di Antonante e Costabile. E come di tutti i sogni conservo brandelli di memoria, fugaci apparizioni, immagini lampeggianti, emozioni viscerali, nostalgie indecifrate. Certamente conservo, chiaro e indelebile, un appagamento felice. Ma non è questa, forse, la funzione estetica? Non pretendo di dare ordine ai ricordi, cercherò di esprimerli lasciandoli emergere dal profondo ,con l'automatismo e l'incoerenza propri di una scrittura quasi surrealista. Il trenino è in alto e si muove, giocattolo e archetipo di ogni fantasia evasiva, avventurosa, dinamica. Il trenino dell'infanzia, ma anche e soprattutto dell'età adulta, del grande mito cinematografico, che ha all'origine locomotive e vagoni, profili di fumaioli e modellini più veri della realtà. Perchè si ferma? Perchè si muove? Perchè sparisce? L'effetto si fa nostalgia; è in alto ,non si può toccare, solo inseguire con gli occhi, in alto come uno schermo cinematografico di cui ha la bidimensionalità (entra da sinistra,esce da destra).
Ecco lo stupore del base-ball... Anni '50. La cultura dell'american way of life che irrompe in un universo di trottole e cerchi. E' una mazza-clava, moderno-antico, gioco e guerra, sfida e minaccia. Blow up di una partita tra realtà e Antonioni, tra teatro e cinema,tra ritmo e immobilità ,in uno spazio che si popola di inquadrature senza pellicola.
Magritte. Magritte, oppure Sironi, o il Doganiere.. Un uomo che va, la bicicletta portata a mano, triste,malinconico e sicuro. Viaggiatore senza viaggio. Ruota senza moto. Il trucco di una donna, il trucco di una madre, di una sorella. In alto,quasi su un comò, che è gabbia. Come gabbia è il box in vetro dentro il quale un uomo dibatte la propria angoscia e solitudine, cercando un contatto, un rapporto che forse vede, ma non può realizzare.
E voci umane che si alternano al microfono quasi primi piani sonori, quasi urli espressionisti amplificati e impastati di musica. Infine un uomo che si arrampica sul traliccio di ferro (gabbia?comò?) e la visione che si spegne in Camus e il suo "Mito di Sisifo".
Ma non ci arrampichiamo forse tutti verso un futuro che ci ripiomba nel passato?

(Antonio Bertini)

Progetto e regia Massimo Costabile, Antonello Antonante
Interpreti Antonello Antonante, Antonella Carbone,Massimo Costabile
Scene Dora Ricca
Realizzazione scene
Paolo Carbone
Video Agostino Conforti
Produzione Centro R.A.T. - Teatro dell'Acquario - 1985
Estratti dalla Rassegna Stampa
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La Repubblica (24/04/1986)

"... Con l'accompagnamento di musiche ripetitive e brani di conversazioni beckettiani, nastri registrati, dialoghi al magnetofono, cuffie ad alto volume, " i giocatori", con l'Ultima Chance tentano il rilancio di sensibilità perdute. Lo spettacolo con il suo diligente repertorio di enigmi e di indecifrabili incubi un pò magrittiani ci torna a proporre il tema dell'Assurdo in confezione ludica: un calvario di gesti mancati, lanci senza risposta, partite senza avversari, solitudini metropolitane. Dalla prigione del Tempo Libero non si esce." (Nico Garrone)


Corriere della sera (26/04/1986)

"...'Ma a che serve scoraggiarsi proprio adesso, bisognava pensarci molti secoli fa, verso il 1900', commenta una voce, ad indicare una dilatazione del tempo e, assieme, una sua immobile continuità, nell'identità tra oggi e domani. Così, tra frasi che rendono il disagio esistenziale e un andar di corsa, ecco comparire, come momenti della memoria,un inizio secolo da copertina di giornale illustrato: un uomo con la bici, una donna con ombrellino rosa, etc..., e, più avanti, altri accenni al gioco, dai dadi al golf. Il mondo di ieri arriva lento, con movimenti ripetuti anch'essi, ma al rallentatore..." (P.P.)


L'arena di Verona (14/03/1986)

"...In uno spazio occupato da oggetti a noi familiari,ma al tempo stesso inusuali per un ambiente scenografico,come un flipper,una porta girevole,una scala,delle "veneziane",si susseguono le azioni dei tre bravi protagonisti.Sulla scia di una colonna sonora piacevolissima,i tre corrono,si muovono,salgono,e scendono ritmati dalla stessa frenesia che incalza l'uomo moderno...
Antonello Antonante e Massimo Costabile hanno ideato uno spettacolo accattivante, prezioso, didattico. (Claudio Capitini)


Espresso Sera (02/05/1986)

"... L'ultima Chance usa con abilità molte risorse multimediali per creare un clima da teatro dell'assurdo. La desolante riflessione sull'incomunicabilità sfrutta, infatti, la colonna musicale,gli effetti sonori, i giochi di luce, per un serie di sequenze cinematografiche che si alternano a simboliche esibizioni gestuali e mimiche, col raro intervento delle voci, anche fuori campo in playback..."
(Gaetano Caponetto)


L SO
LDO (18/05/1985)

"...Antonante e Costabile, registi e ideatori, dello spettacolo ci hanno offerto un esempio di Teatro Immagine che trova in Bob Wilson il padre di questo genere.
Lo spettacolo si fa apprezzare per alcune immagini interessanti come quelle nevrotiche-schizzoidi della società odierna contrapposte a quelle pacate-tranquille dei tempi passati..." (Gigi Giacobbe)


La Sicilia (20/05/1986)

"...La rappresentazione è di un raro rigore formale-....
rileviamo la bellezza di alcuni frammenti, nonchè l'osservazione della musica che fa da supporto all'azione dando a quest'ultima una dimensione che sta tra l'onirico e il mostruoso con effetti di straniante livore; e lodiamo l'impegno dei tre protagonisti in una performance piena di insidie formali e finanche materiali..." (Domenico Danzuso)


L'ORA (15/05/1986)

"...I tre personaggi entrano in scena a braccia conserte,con le mani in tasca,lentamente,con il ritmo tipico di una sequenza cinematografica vista al rallentatore.I tre hanno un destino,un triste destino,aggirarsi per la scena senza incontrarsi mai,senza nemmeno sfiorarsi,mentre la loro unica "chance" sembra essere quella del gioco,un gioco continuo,estenuante,a tratti disperato,un gioco che i tre consumano in perfetta solitudine...memoria:nell'assordante rumore di un vetro che si stacca da una gigantesca fotografia di scena.Che sia quello il momento,apparentemente sospirato,del "rien ne va plus"? (Francesca Taormina)


Carlino Reggio (22/04/1986)

"...Un'ora di ritmi alternativamente frenetici e pacati in un alienante mondo quotidiano. Le immagini di oggi e di ieri si alternano in un gioco ad incastro che scandisce il ritmo dello spettacolo. Un gioco anche crudele che non ammette una vitale presenza dell'uomo:l'uomo non parla e le poche parole che sentiamo sono deformate dal registratore o dal microfono. L'ultima,anzi "l'ultimissima chance" è nella capacità di ritrovare le fantasie dell'infanzia."

Il Giornale di Sicilia (16/05/1986)
INCONTRAZIONE.DI SCENA GRUPPI DI BOLOGNA E COSENZA
"...Olocausto e millenarismo anche nell'Ultima Chance del Centro R.A.T. di Cosenza. Antonante e Costabile, in scena insieme ad Antonella Carbone, affascinati dai "miti della caduta", hanno colto i segni del tracollo, preannunciati dai ritmi mozzafiato delle nostre giornate, dal non-senso dell'esistenza consumistica. Anche il tempo libero, chimera delle città industrializzate, è lo specchio e il contraltare assurdo, del "TEMPO IMPIEGATO" a far girare i vuoti meccanismi. Lo "stile di vita" è raccontato all'interno di una stanza dei giochi- torture dove ai meccanismi comportamentali si sono andati contrapponendo i "quadri antichi" della nostra buona coscienza..." (Giosuè Calaciura)


La Gazzetta del Mezzogiorno (05/04/1986)

"... La performance punta tutto sull'ossessività cinetica e visiva del gioco in sè, con i tre attori impegnati su percorsi "ludici" paralleli e ripetitivi, che non entrano quasi mai in correlazione. Alla violenza del gioco per il gioco corrisponde la sospensione di memoria in cui è lecito accompagnare pigramente biciclette, giocare a golf, andare a caccia di farfalle, mentre cavallucci di legno girano sulla giostra e un trenino luminoso percorre lentamente una invisibile rotaia, in alto, nel buio. Che ci porti un Godot?" (P.B.)


Il Gazzettino di Verona (09/03/1986)

"... Questo spettacolo, che si ispira in modo, vivace e intelligente, al teatro dell'Assurdo, si presenta come una successione ad incastro di immagini poetiche, dove l'azione vive in rapporto continuo tra la visione reale e l'immaginario, tra il presente e il passato. I personaggi di questo stralcio di vita solitudinaria riescono ad affrontare il loro vivere quotidiano ritornando, per brevi attimi, bambini: si va a caccia di farfalle, si gioca a biliardino, ma non si riesce a trovare la chiave per comunicarte, per abbattere la barriere che dividono gli uomini. In uno spazio, forse un p¥ compresso, gli attori hanno saputo catturare un'interpretazione veramente suggestiva..."(E.C.)

Il Gazzettino di Padova (23/03/1986)

"... Un universo chiuso all'interno del quale si consuma una gestualità frenetica e solitaria, fatta di un presente che isola e ostacola la comunicazione e di un passato che ritorna come infanzia e ricordo. Antonante e Costabile bandiscono quasi integralmente la parola (riaffiora solo a tratti amplificata dai microfoni o registrata) e puntano tutto sul gesto, attento alla costruzione dell'immagine, in un "montaggio" che assomma alle inquietudini del quotidiano, la trasognata distanza della memoria..." (M.G.B)


Il Tempo (26,4,1986)

"... In scena due uomini e una donna ed alcuni oggetti (una cabina di vetro, una gabbia, una scala da esercizi ginnici) ai quali i personaggi sono come ancorati. Corrono, saltano, ripetono affannosamente all'infinito gli stessi gesti, simulando il frenetico "iter" dell'uomo moderno, condannato all'isolamento e all'infelicità. Nel coacervo di immagini quelle che tornano con maggiore insistenza sono legate al gioco, inteso evidentemente come unica possibilità di alternativa all'alienazione dell'uomo di oggi..."(FR.BON)


Secolo D'Italia (29,04,1986)

"... L'ultima Chanche che pu~ essere considerata la più recente produzione ispirata al teatro dell'Assurdo , affronta il complesso tema della solitudine. In scena tre personaggi isolati l'uno dall'altro occupati "involontariamente" ad inseguire senza pause il loro tempo presente e passato, incastrati nel labirinto del non senso e dell'inutile. la propria grigia avventura, condannati comunque a correre, correreesenza mai fermarsi, incatenati in una girandola di balletti senza sosta e senza meta, intenti a giocare con i dadi dell'esistenza in cui inevitabilmente e forse anche fatalmente rimarranno sconfitti..."

Gazzetta del Sud (12.04.1986)

"... Correre, instancabilmente, senza mai un attimo di sosta. Salire, arrampicarsi, ma con la sommità da raggiungere sempre in alto, lontana. Volere a tutti i costi, cercare per ogni dove: tutti, nello stesso tempo e più o meno allo stesso modo, ma ciascuno per proprio conto ed in antitesi ad ogni altro... Muoversi, rendere, andare avanti come un ingranaggio senz'anima senza possibilità di bloccarlo o distruggerlo se non con la morte: è il "sacrificio" di cui è vittima l'uomo d'oggi ed è anche, fra tante possibili, la chiave di lettura più accettabile, immediata e spontanea dell'ULTIMA CHANCE..." (Antonio Garro)

Oggi Sud (20.04.1986)

"... L'unica salvezza, L'ULTIMA CHANCE, è il gioco, l'ultimo rifugio irreale del grigiore quotidiano; ma l'inutilità e l'angoscia del gioco stesso hanno il sopravvento, anche se la ragione rifiuta di arrendersi, e l'ultima possibilità viene giocata, l'ultimo lancio viene tentato e il vetro del labirinto si spacca. Antonante e Costabile hanno costruito uno spettacolo e significativo dove tutto èindispensabile, dalla scenografia (grigia) curata da Dora Ricca, alle musiche spesso ossessive che scandiscono le varie azioni del tempo..."


 



 

 



 

 



 

 



 



 



 

 



 

 

 



 

 



 

 



 

 

 



 

 



 

 



 

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