Il
viaggio estremo, il "viaggio al termine della notte''.
Tutto "dentro'', senza alternative, fino all'inferno
ed oltre. Un viaggio pensato, sognato e fissato per sempre
nello specchio incandescente della memoria che non accetta
di rinnegarsi. Della vita che, per non soccombere, cancella
il futuro che la esclude con un estremo, inutile, devastante
e disperato sussulto.
La Medea del poeta di Salamina, come un marmo greco, dopo
duemila e cinquecento anni, è sempre la madre di tutte
le vendette. Quella di Corneille, la riscoperta del mito che
non paga, mai, il prezzo della sconfitta. Per Corrado Alvaro
è il canto della diversità irriducibile.
In questa nuova
versione del dramma, Medea è il "sogno" di
Medea. Il tempo che cerca disperatamente se stesso. La fine
inesorabile ma, proprio per questo, impossibile da accettare.
Il sogno spietato, fatto ad occhi aperti, scuoiato, scomposto
e fatto a brandelli per non perdere uno solo dei suoi sussulti
infami. Una Medea che inchioda i suoi pensieri ad uno ad uno
sulla pelle. Una Medea che celebra la cerimonia della messa
a nudo di tutto ciò che nasconde, nei recessi più
inviolabili perchè "accecante''. Una Medea che,
proprio perciò , paga con la sconfitta della passione
ad opera della ragione, sul piano personale, e con la disfatta
totale su quello "politico'' la rivendicazione del diritto
all' identità.
Lo spettacolo
ricostruisce le tappe di questo "viaggio'' allucinato.
Intreccia parole e gesti, movimenti e pause, corpi ed ombre,
suoni e suggestioni. Grazie a ciò, detto e non detto,
mostrato e nascosto, tutto acquista rilievo e costruisce la
tela fitta di una storia eterna come sono eterni i sogni le
speranze e le paure degli uomini.